Neoliberisti all'amatriciana!
post pubblicato in
Politica , il 22 luglio 2010
Chiaramente non potevano esimersi: i neoliberisti trasversali del panorama politico italico si sono messi in moto per il "No" ai referendum sull'Acqua Pubblica. Gentaglia come Giuliano Cazzola (PDL), lardoso economista ex-editorialista del Carlino (detto tutto), Benedetto Della Vedova (PDL area Fini), che ti fa capire, si, va bene che Fini rompa il cazzo al Nano, ma non per questo vuol dire che lo voterei! Oltre a questi, anche un certo Antonio Innamorelli del PD, ala "riformista" probabilmente, che sarebbe da "riformare" cerebralmente! Che come al solito, ti fa capire che ci sono pochissime differenze tra i due partiti maggiori... Già, perchè il PD, soprattutto dalle mie parti, ha troppi interessi (e culi su poltrone) nelle tristemente famose "multiutility" dell'energia e acqua, che visto le prossime quotazioni in borsa e le tante fusioni che le fanno diventare veri e propri colossi, sono molto interessate al businnes (solo loro e delle loro tasche) dell'acqua privata. A Reggio Emilia, l'ormai gloriosa ex-Agac, che già aveva acquistato in Appennino tutti i vari acquedotti paesani (che funzionavo comunque benissimo, anche senza l'Agac), nel 2004-2005 è diventa Enìa, unendosi con le municipalizzate di Parma e Piacenza, e già lì si capiva chi iniziava a guadagnarci e chi a perderci... Ora addirittura si unisce alla super-multiutility ligure-piemontese Irenia creando "Iren", che sarà un vero mostro che succhierà energia, acqua ma soprattutto, con bollette sempre più salate (c'è da scommetterci!), i soldi dei cittadini! E in questa mega-operazione, che porterà in Borsa la nuova società (e sarà l'inizio della fine), sono coinvolti tutti sindaci di area centro-sinistra (tranne Parma): Chiamparino (Torino), Vincenzi (Genova), Del Rio (Reggio Emilia), Reggi (Piacenza)... Quindi, non aspettiamoci che il PD parta con lo spadone alla guerra per l'acqua pubblica, ne vedremo delle belle, ma in particolare, vedremo ancora un sacco di figure di merda e di voti persi, c'è da giurarci! Nel frattempo, ancora una volta: SI ALL'ACQUA PUBBLICA, NO ALLA MERCIFICAZIONE DEI BENI COMUNI!
da www.ilmanifesto.it
APERTURA | di Andrea Palladino - ROMA
BENI COMUNI - È stato presentato ieri contro la valanga delle firme sui referendum per l'acqua. Adesioni anche dal Pdl
Nel condominio Pd c'è il comitato del no
Dissociazioni e imbarazzi in casa democratica. Battono un colpo i fan della privatizzazione della gestione di servizi. E parlano proprio come gli imprenditori
«Se vincerà il fronte del sì, uno dei risultati inevitabili sarà che gli italiani dovranno pagare una nuova tassa per l'acqua». Sono passate appena ventiquattro ore ed ecco apparire i signori del no, il fronte contrario alla ripubblicizzazione dell'acqua. Pezzi di Pd e di Pdl insieme, guidati a destra da Giuliano Cazzola e Benedetto Della Vedova, e a sinistra da Antonio Innamorelli. Un'unione che ribadisce quello che i movimenti dicono da sempre, ovvero che sulla questione acqua gli schieramenti sono trasversali.
La prima affermazione del neonato comitato si smonta in due parole: una tassa sull'acqua gli italiani già la pagano, si chiama «remunerazione del capitale investito», è pari al 7 per cento degli investimenti - spesso solo promessi - ed è destinata non ai comuni, ma ai privati, ai consigli di amministrazione, alle tasche degli azionisti. Una tassa che raggiunge livelli milionari, pari, ad esempio, a quasi settantacinque milioni di euro all'anno solo nella provincia di Roma. Soldi che intasca Acea, la società quotata in borsa e partecipata da gruppi del calibro di Caltagirone e Suez, senza tener conto dei livelli di qualità. Una tassa che il terzo quesito referendario presentato lunedì in Cassazione vuole abolire.
La contestazione del comitato dei no ripercorre il frasario dei difensori delle privatizzazioni. Concetti che circolano nei cda delle varie Veolia, Suez, Hera, Acea, Gori, Sorical, Iride e delle tante altre piccole e grandi compagnie di ventura sparse nel nostro paese. «I referendum negano la necessaria separazione - continua il gruppo del no - delle funzioni di indirizzo, governo, controllo da quelle gestionali: sono mestieri diversi, con competenze molto diverse». Dunque è una questione di mestiere, di capacità, di know-how: per gestire una cosa complessa come le reti idriche servono persone preparate. Un discorso pericoloso che. esteso alla sanità, ad esempio, o alla scuola, aprirebbe la strada ad ulteriori privatizzazioni. Non c'è dubbio che le chiavi degli acquedotti debbano essere consegnate a mani sapienti, in grado di tutelare la risorsa. Esistono per questo università e politecnici, quasi tutti pubblici. Esistono esperienze in altri paesi europei - come la Francia - dove sono state create vere e proprie scuole dell'acqua. Pubbliche. Di esempi di gestori pubblici virtuosi e capaci è piena anche la storia italiana.
Ad iniziare da Acea, creata nel 1907 dal sindaco illuminato Nathan, laico, ebreo e moderno. Fino al 1997 - quando il sindaco decisamente meno laico Rutelli la privatizzò - è rimasta una azienda speciale, con una vocazione esclusivamente pubblica. Ed è stata l'azienda romana Acea - e non la Spa Acea - a creare il sistema di acquedotti della capitale, che ancora oggi garantisce la migliore acqua del paese.
La terza contestazione che il comitato per il no propone riguarda gli stessi promotori del neonato gruppo a favore della gestione privata, ovvero la classe politica: «Se vincessero i sì, si tornerebbe ad una gestione di sprechi, più imposte ai cittadini e un uso clientelare della cosa pubblica». In sostanza un gruppo di senatori e deputati spiega come non è conveniente far gestire i servizi pubblici ai loro colleghi amministratori perché fanno il clientelismo. Il problema, probabilmente, non è cosa gestiscono, ma come. Se il problema è dunque il clientelismo, come potrà lo stato corrotto effettuare le gare, verificare i risultati raggiunti, controllare le gestioni. In realtà i movimenti per l'acqua propongono una gestione che va al di là della contrapposizione pubblico-privato. L'acqua appartiene alle comunità ed è questo il senso di un bene comune. È un bene non delegabile, in sostanza, che dovrà essere gestito con sistemi di partecipazione diretta dei cittadini, con una ferrea funzione di controllo da parte delle comunità, oggi escluse. La gestione dell'acqua dovrà essere qualcosa di simile, ad esempio, agli usi civici, ovvero a quelle parti di territorio comunitarie, amministrate direttamente da chi ne è il detentore naturale. Fuori dai partiti e fuori dalle Spa. Ed è questo che spaventa.
